"Michela D'Alessio . Lo zoo di Venere."
Si dice che il sesso ormai è ovunque. Osservazione banale, in quanto la patinata overdose mediatica di tette-culi, certo non è quello che in cuor nostro risponde al concetto di sesso. Le opere che trattano di sesso sono trasgressive. Altra banalità. Foto, dipinti, film, raccontini si dimostrano spesso frutto di una mente così perbenista e cripto-frustrata che ritiene che genitali in primo piano, amoreggiamenti gay o sessioni di bondage siano ancora di per sé grande shock e pruriginosa trasgressione. Dal lato opposto del banale troviamo, invece, il progetto estetico-concettuale che sottende alla costruzione dei nuovi lavori di Michela D'Alessio. Mi ha fatto pensare a Lo Zoo di Venere, il celebre film di Greenaway, per il sublime connubio di entomologico ed erotico, di zoomorfo e sexy, di ripugnante e gustoso. Con dei tratti leggeri, ricordi pastello che potrebbero essere usati su un quaderno di scuola per uno sfondo bucolico, Michela D'Alessio attinge al bucolico con uno sguardo che ne decostruisce gli elementi biologici riassemblandoli con ogni zona erogena, intorno alla quale la vista cancella nel bianco assoluto ogni ulteriore elemento.
Non è l'aspetto orrorifico o splatter ad essere protagonista. Il granchio appeso per le chele a due capezzoli, nel silenzio dell'immagine, degrada nel celeste intorno a un corpo che non emette ferite o dolore, allo stesso modo di una pianta carnivora che morde testicoli senza una goccia di sangue. Questo denota come il lavoro di Michela D'Alessio non sia teso alla ricerca dell'effettaccio, ma a imporre un'arte bene armata che intende dilatare i confini dell'immaginario e della rappresentazione, sulle ali di insetti a loro agio tra il corpo umano, come nel premiato video Tourniquet di Marilyn Manson, attraverso genitali che accolgono altre specie viventi con la placida naturalità del fare pare parte anch'essi della natura. Il vero cuore di questo progetto è, infatti, la naturalità della sessualità, percepita dall'autrice come incastonata nell'ambiente, in tutti i suoi aspetti, dai più esteticamente sgradevoli a quelli di esplicito richiamo al piacere, dagli odori ai sapori tutti, tutto è atomo di natura e come tale naturale e da vivere in tutte le possibili naturali declinazioni. Comprese quelle meno digeribili. Per questo motivo Michela D'Alessio rappresenta con lo stesse tenue segno bocche di serpenti e cazzi, pallidi vermi e vermigli clitoridi una naturalità tout court che ci riporta ai versi del visionario ma corporeo post-naturalista Whitman: "Imperturbabile, a mio agio con la natura, signore o signora di tutto, sicuro nel mezzo delle cose irrazionali, impregnato come esse, passivo, ricettivo, silente com'esse". Michela D'Alessio nel passaggio, rispetto alla sua precedente esposizione, dai connubi biomeccanici alla Giger e Cronemberg ad una Età dell'Acquario 3.0, dimostra una crescita e maturazione stilistica in continua evoluzione articolata su una personalissima spina dorsale di coraggio, sfacciata verità, colto nichilismo, miriapode intelligenza e antropoide bellezza.
Giovanni Di Iacovo [Scrittore , Assessore alla Cultura di Pescara]
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