PIEGHE
“PIEGHE”
Personale di pittura e grafica di FRANCESCO RECCIA
Recensione di Alfonso Rossi psichiatra psicoterapeuta
PREMESSA
Non mi intendo, purtroppo, né di tecnica pittorica, né seguo i movimenti e le correnti della moderna pittura, e proprio per la mia incompetenza mi è stata richiesta questa presentazione: per vedere le cose d’arte al di fuori della logica critica, attraverso gli occhi ingenui di chi per professione si interessa di meccanismi mentali, evoluzioni, resistenze, occultamenti, simboli, e trasforma, confuse tragedie e drammi, in paradigmi sintattici comprensibili attraverso la continua evoluzione della ricerca teorica e biologica relativa alla psiche ed alle sue patologie.
Ovviamente mi sono sforzato, per quanto possibile, di tenere lontana la tentazione di usare lo strumentario metodologico e professionale, e di affidarmi unicamente alla mia sensibilità, cercando di dare una continuità logica alla sequenza dei quadri e di dare ad essi una unità stilistica e poetica.
La MOSTRA
In questa ricerca pittorica, dire che ci sono livelli di lettura e di interpretazione diverse è affermare delle ovvietà, ma dire che la sintassi iconografica esprime rapporti inconsueti, evidenti ma non visibili, dei contenuti percepiti, ci spinge a cercare metodi di lettura differenti, con risultati incredibili sia sul piano della poetica che dello stile.
In questa mostra le parole contano quanto i quadri. Le une rimandano agli altri; a partire dal titolo: Pieghe. Una parola che per associazione dei fonemi rimanda a piaghe, ed è quanto dire! Ma quali pieghe (= piaghe)? Anatomiche e maleodoranti? Geologiche in anfratti abissali e oscuri? Esistenziali emarginanti e violenti? Oppure pieghe della mente ove si celano in meandri labirintici, oscuri e tortuosi le parti segrete di ognuno?. Il topos senza tempo di ogni sentire. Dove ogni suono, ogni immagine, ogni odore, ogni sapore ed ogni contatto acquista valenze significanti che ci accompagneranno per tutta la vita, che come lenti prismatiche e distorsive ci faranno interpretare i significati della vita e condizioneranno le nostre risposte, i nostri atteggiamenti, le nostre reazioni .
Questi quadri siamo noi. Non nella nostra astrazione, sublimazione o trascendenza, ma colti alla radice magmatica, dinamicamente caotica, paradossale, ambigua, violenta fino al sadismo, oppressa da tutte le costruzioni dell’oppressione, dolorante per l’abbandono, per la solitudine, per colpe vere o immaginarie, per le espiazioni dolorose; per fardelli inutili ed ingombranti .
La natura, in questi quadri, ci esclude: Natura piangente. Che siano paesaggi sereni L’Olimpo d’estate o Tracce d’autunno; Notte e luce, mare e materia; o tempestosi: Creazione, Minaccia; La nuvola; Magma; Fragilità, l’uomo non c’è mai! Ne siamo espulsi, forse perché indegni, sicuramente pleonastici, inutili e dannosi con la nostra intima distruttività.
L’essere umano è sempre rappresentato solo, con la sua incommensurabile sofferenza; a volte abbandonato e piangente – Il pianto del principe, La notte con la trapunta scarlatta; altre volte schiacciato dall’Archetipo e dal Fardello, oppure minacciato da fauci aperte e fameliche come Padre sempre. Rappresentazioni della metafora paterna e delle sue proiezioni sociali: leggi, regole, divieti, imposizioni e castrazioni della propria capacità di espressione e di libertà; a niente vale l’esortazione di Alzati, ci sei, dopo aver pianto come in Supplica con le mani giunte o meglio chiuse in pugni di rabbia! Esserci, ma dove ? in prigioni che si susseguono, dai muri alti e senza possibilità di fuga? Oppure guardando la realtà solare e viva da Dietro la finestra chiusa?
Sono scomparsi in questa pittura i grandi temi consolatori della maternità – Dove eri madre? In cui una madre senza volto, cioè dis-umana, porta in braccio non un bambino, ma un fantoccio. Oppure una mogliemadre tremenda: La Regina feconda. Salvo poi, sentendosi in colpa, ricorrere ad una pittura ed una poesia riparatrici: Attesa.
Non c’è possibilità di capire di quali colpe ci si sia macchiati, come in un incubo kafkiano l’unica certezza è l’espiazione senza senso e senza tempo, nel suo assurdo ripetersi come in Immolazione; Olocausto d’amore e Blocco11: similitudine capovolta. Un andare in Processione per finire, verso la morte, mai menzionata nelle altre opere ma sempre presente, con qualche barlume di speranza che traspare in maniera singolare proprio in questo ultimo quadro ed in Oppressione e rinascita.
Anche la religione è vissuta come eterna espiazione: Olocausto d’amore; Golgota; Pietà; Immolazione, in cui ogni Ascesi (è) negata , impossibile, frenata e impedita dal peso greve dei corpi ed inevitabilmente Saremo risucchiati e lo stesso Conforto, a cui aspiriamo, non ci darà alcun aiuto, anche se la speranza, tenue come il tratto del disegno, ci incoraggia in Un giorno salirai.
E gli uomini? Come sono rappresentati? O non ci sono , lasciando spazi vuoti ed una labile traccia di sé come Il giubbotto di jeans; o come masse informi: Ordinazione episcopale; Il popolo risale il vicolo stretto; Processione per finire; Banco di sera; oppure omologate: Conformisti e borghesi; o ambigui: Monodialogo ; i cui Legami sono niente altro che maschere ipocrite e stereotipate. Nei disegni a penna su cartoncino, Reccia si sbizzarrisce con una abilità sorprendente ed eccezionale ed una ricerca ossessiva e maniacale dei dettagli, originale e fantasiosa, con cui illustra con sarcasmo crudele, una umanità tronfia e ridicola. Si salva solo qualche figura femminile, nelle quali l’accuratezza del disegno e le atmosfere sognanti rendono, però, queste donne irraggiungibili ed immateriali.
La sessualità viene rappresentata o in maniera simbolica: Criniere, Vigore flesso, La torre di vetro, Vento di fuoco, Complementari; oppure in maniera più esplicita, ma senza gioia: Vergine di terza età, triste e repellente, oppure sfatta e senza vita in: Bronzina; o malinconica ed avvilita come in Venere Stanca, o inquietante Ambiguità; tragica come in Blu erotico oppure, infine, terribile, minacciosa e castrante come la Regina feconda. Con una speranza di intimità e di tenerezza: Ponte d’amore; Dopo; La tana.
Il PROBLEMA DEI SEGNI
Il segno è la premessa della comunicazione della conoscenza.
Ma rappresenta per davvero la realtà? O meglio in che rapporto sta con la realtà? Ne è una metafora convenzionale che serve per comunicare tra noi? Oppure è immanente ad essa?
Noi percepiamo la realtà nei suoi referenti oggettivi.(oggetti), ma per potere dare loro un significato dobbiamo procedere con una operazione mentale immediata (percezione). Se vogliamo comunicare quanto percepito, dobbiamo poterla rappresentare, cioè abbiamo bisogno di significanti ovvero di linguaggi, e con una operazione di sintesi mentale sovrapporre gli uni agli altri: Significati e significanti, vale a dire oggetti e rappresentazioni (Triangolo Semiotico:Mente, Significati e Significanti).
Ma cosa mette in contatto i significati ed i significanti? Certamente non la semplice sovrapposizione, bensì la relazione tra di loro, cioè una rappresentazione sintattica, tra aspetti ed oggetti della realtà, in una sintesi comunicativa che va al di là degli stessi oggetti rappresentati, dei contenuti evidenti, in una ricerca senza fine in linguaggi nuovi e rappresentativi di mondi diversi da esplorare e conoscere. I linguaggi sono evoluti, si sono arricchiti e modificati, ma tutti sono stati coerenti nella ricerca della comunicazione ed alla interpretazione della realtà percepita del proprio tempo, ovvero di quella conosciuta all’interno di determinati confini del sapere.
Ma se questo può valere per la realtà oggettiva e concreta , dove i significati e significanti hanno trovato una loro precisa relazione, con una sintassi che detta regole precise, come si fa ad esprimere ciò che è inesprimibile? Vale a dire il mondo dell’affettività, le cui radici affondano nel nostro inconscio, ove risiede la parte più primitiva, vitale, tenebrosa , esaltante e creativa di ogni uomo. Quella profondità immateriale da cui si sviluppa la personalità di ognuno; che condiziona ogni relazione, ogni progetto, ogni visione; che permette di filtrare la vita e la realtà che ci circonda, permettendoci una lettura del mondo, di cui ne diventiamo, nello stesso tempo protagonisti ed interpreti.
Le arti, e la pittura tra esse, si sono sempre posto la meta di descrivere la realtà emozionale attraverso vari linguaggi e rappresentazioni, i cui contenuti, via via partendo da quelli di significato magico religioso, alla rappresentazione delle cronache storiche e dei miti; dalla ricerca del trascendente al percepito impressionista, dalla simbologia metafisica e surreale alla ricerca futurista; dalla scomposizione e reinterpretazione astratta della realtà all’iper-realismo.
Modalità interpretative
Nella pittura di Francesco Reccia la sintassi del linguaggio pittorico comprende regole di riscrittura e trasformazionali tali da assegnare a quadri diversi, diversi livelli di rappresentazione: una più facilmente fruibile, superficiale ed immediata; ed altre profonde, non facilmente intelligibili, spesso sconosciute al suo stesso autore, angosciose e rivelatrici di verità aliene, in un groviglio di immagini evidenti e nascoste, fatte intuire e dissimulate.
Il mondo affettivo è rappresentato nella sua ambiguità, nella contraddittorietà dei sentimenti e nella angosciante paura di manifestarli.
Questa ricerca pittorica, in maniera del tutto autonoma ed originale, ha intrapreso un percorso di scomposizione e ricomposizione delle emozioni e dei sentimenti, visti nella loro doppiezza ed ambiguità, attraverso uno stile pittorico, fatto di pennellate rapide e decise, dai colori intensi usati in maniera straziante, dall’ispirazione immediatamente rappresentata, fondendo, componendo e mettendo in contrasto spinte pulsionali e pensieri antitetici e cupi, attraverso gli equilibri delle forme scomposte e apparentemente disarmoniche, proponendo, così, una nuova corrente stilistica, proprio come il cubismo aveva scomposto e ricomposto le forme, ed il futurismo aveva scomposto e ricomposto i movimenti.
Non vi è in questa pittura la mediazione descrittiva attraverso l’adesione a simboli predefiniti dell’arte surreale che rimandino a desideri e sentimenti. Simboli è il caso di ricordarlo, derivati direttamente dalla ricerca freudiana, ed in qualche modo “esterni” all’artista, più intellettualizzati che sentiti. Al contrario, in questa ricerca, il mondo affettivo è rappresentato attraverso la rapidità delle pennellate, all’uso straziante dei colori e agli equilibri scomposti delle forme, con cui esprime le ambiguità, la contraddittorietà dei sentimenti, e la paura di esporli. Valgano come esempi : Svèlati, o ( Svelàti ( ? )) in questo tragico quadro, traspare l’impossibilità di dichiarare i propri, veri ed intimi pensieri per l’orrore che suscitano o per una estrema difesa della propria fragilità. Oppure proviamo a scomporre Patiens in cui sono sovrapposti e confusi il pianto della vittima e il ghigno del carnefice, con il risultato orrendo e fascinoso di vedere un Cristo confuso nel volto del suo massacratore.
Monodialogo una riuscita e angosciosa rappresentazione dell’ambiguità, in cui le due figure, viste singolarmente possono esprimere diversi e distanti sentimenti, in un gioco di rimandi proiettivi per cui potrebbe essere molto difficile mettere d’accordo i vari osservatori.
Oppure Padre sempre in cui sul lato sinistro sono evidenti le fauci di un predatore primordiale che contrastano con il resto della pietosa figura reclinata. Il titolo è nello stesso tempo una minaccia ed una richiesta di protezione.
In Processione per finire se il quadro lo giriamo la lettura non è più quella della morte ma quello della nascita con il risultato che gli stessi colori finiscono per avere un significato completamente diverso.
C’è qualche barlume di speranza? Franco Reccia questa domanda non se la pone. Noi, forse, lo vogliamo, sforzandoci ad interpretare Oppressione e Rinascita, in conformità ai nostri desideri, per lenire l’angoscia. Purtroppo non possiamo sfuggire alla sofferenza. “Non c’è crescita senza dolore mentale” ( Bion).
Alfonso Rossi [Neuropsichiatra, ricercatore, critico]
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