The Great reaet
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Critica estetica 1 Guardando le tele di Stefania Pinsone Il mio pensiero viene influenzato dalle sue visioni; è la forma che spacca i confini della realtà , mi porta fino all’inizio dell’ Universo. Vedo una visione più complessa dello spazio, una dimensione illusoria dei suoi disegni; realtà che tecnicamente dovrebbero essere estranee al loro spazio figurativo. Le sue opere mi riportano alla scienza, alla matematica ed alla fisica; apprezzo il suo uso razionale di poliedri, distorsioni geometriche ed interpretazioni originali di concetti appartenenti alla scienza, sovente per ottenere effetti paradossali. Una donna che e’ più simile a un matematico piuttosto che a un artista, e che tramite la sua produzione ha fatto coincidere questi due mondi apparentemente opposti. Scale, specchi, illusioni ottiche. Nietzsche diceva che se si guarda troppo a lungo nell’abisso, alla fine l’abisso guarda dentro di te. Ed e’ proprio questo che succede quando ci sporgiamo a guardare giù in queste opere, giù nella mente di Stefania Pinsone. Questo è ciò che ci viene in mente quando nominiamo Stefania, ma cosa c’è dietro questa solida struttura? Cosa si nasconde nelle ombre degli archi, nell’oscurità introspettiva della sua arte? cosa si cela dietro queste vertigini che ci colgono, in bilico sulle sue tele? Nelle tele di Stefania Pinsone la vita sembra che ci imponga di vedere immagini, corpi, immobilità e confini, il mondo è indaffarato nel proporci indefinibilità, sfumature, transizioni e transitorietà. Le sue opere sono la rappresentazione stessa della nostra mente: come un divenire per scoprirsi sempre naufraghi. “Metamorfosi” è la parola corretta per definire le opere di Stefania Pinsone, o forse per descrivere Stefania stessa. Meglio ancora, “Metamorfosi” è la parola perfetta per descrivere Stefania che diventa un’opera di Pinsone; l’autore che diventa personaggio, l’inerte che diventa vita, il caos che diventa significato. Prospettive infinite di architettura, cerchiamo di tenerci in equilibrio ma stiamo già cadendo, precipitando nella tromba delle scale immaginarie, fluttuando nel vuoto abissale fino a sussultare, come quando si cade in un sogno, e ci risvegliamo di soprassalto col cuore che scalpita. Le strutture e le architetture in apparenza semplici ti catturano lo sguardo che ci porta presso popoli antichi e moderni in un viaggio continuo, facendoti perdere la concezione dell’equilibrio, del tempo, del vuoto e della confusione, per poi lasciarti da solo con quell’inquietudine ignota, con quella sensazione venuta dallo spazio. E’ una metamorfosi che non si ferma mai, un circolo vizioso che riparte e riporta sempre alla stessa illusione di evadere dal quotidiano. Se fissiamo troppo a lungo un’opera di Stefania Pinsone, finiamo per diventare noi stessi illusione: prendiamo con forza la luce di un meccanismo, di una vita priva di avventura, monotona e bizzarra a rincorrere noi stessi e l’eterno ritorno. Critica estetica Roberto Papini
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